Il Diario del Lupo

Nona puntata

 Cosa mi ha dato il don Gnocchi e perché partire da Parma

Cosa ricevetti in quegli anni e perché decisi di lasciare tutto nel momento più bello della mia giovinezza ? Con i miei 51 anni di oggi non saprei ancora dare una risposta precisa alla mia pazza decisione di perdere tutto ciò che avevo d’interessante davanti ai miei occhi. Vedrete poi più avanti leggendomi che con l’età altre pazzie ho commesso senza spiegazione alcuna, semplicemente seguendo l’istinto e la voglia di fare altre cose e conoscere altre persone. Parma per me era tutto ciò che avrei potuto desiderare e sperare in quel periodo: gli amici, il successo della Polisportiva interna ed esterna al Centro, la riconoscenza e la piena fiducia nelle iniziative; gli educatori, interni ed esterni, che mi hanno insegnato e preparato alla vera vita che poteva aspettarmi fuori da quel portone sempre aperto e alle volte chiuso come per proteggermi dall’esterno. In quegli anni passati al Don Gnocchi ho potuto apprezzare la vera importanza degli studi anche se in età un pochino avanzata. Senza alcun timore o vergogna posso dirvi che, in precedenza, non ho potuto fare un percorso scolastico ordinario come quelli della mia età, in quanto mi consacravano 85% del tempo a curare il mio handicap fisico e un po’ meno ad occupare il mio cervello. Quindi è stato all’età di 14 anni che ho dovuto mettermi seriamente a usare un po’ di più la materia grigia per recuperare il tempo perduto e ci riuscii in buona parte e soprattutto grazie alla tecnica e alla pazienza di una signora che veniva tutti i giorni nel Centro per aiutarci al doposcuola (Rosaria Dall’Argine, ndr). Risultato che non fui mai né rimandato né bocciato durante i miei 3 anni di scuola superiore come contabile. Come piccolo aneddoto mi ricordo un anno che passai un week end senza quasi chiudere occhio allo stesso tempo per studiare storia, geografia e seguire il Tennis quasi tutta la notte la Finale di Coppa Davis o Semifinale e Finali a New York alla Televisione; il lunedì ebbi l’interrogazione a scuola e riuscii con il voto 7/10 nelle 2 materie. Nel Centro imparai ad essere autonomo e indipendente economicamente e socialmente, prendere delle decisioni sapendo che ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarmi e correggermi in caso d’errore un po’ come in una famiglia. Sì, ecco, il modo giusto è la FAMIGLIA con i miei «fratelli e sorelle» (gli amici per l’occasione) e i parenti (gli educatori laici sempre presenti): abbiamo fatto una parte del «cammino» di vita insieme. Ricordo perfettamente alla età di 14 anni (nel ’77) quando arrivammo al Don Gnocchi di Parma venendo da Marina di Massa, che ci riunirono nel cortile dove una persona (mi sembra Fratel Felice) ci parlò dicendoci: «A partire da questo momento ognuno di voi avrà il suo dentifricio e il suo spazzolino da denti. Sarete in camere con 2 o 3 persone (a Marina di Massa eravamo in 10 per camera). Siete liberi di entrare e uscire dal Centro ma a degli orari specifici. Alle h 22 al massimo ognuno nella sua camera… ». Ebbene, scoprii un mondo completamente diverso. Sembrerà strano a certi di voi, ma vi assicuro che mi sono adattato presto alle regole senza alcuna difficoltà. Una cosa importante da non dimenticare è che nel ’77 eravamo almeno 350 ragazzi/ragazze e che nell’84 eravamo rimasti più o meno una cinquantina. 7 anni passati lì furono intensi, istruttivi ecc… Noi, persone disabili, abbiamo vissuto, dopo il 1981, chi direttamente chi indirettamente, il pieno periodo della riforma passando dalla piena protezione all’interno di un centro al progetto d’integrazione sociale chiesto e ottenuto dalle associazioni. Lo slogan: CHIUDERE DEFINITIVAMENTE I CENTRI, MANDARE I DISABILI IN FAMIGLIA PER UNA COMPLETA INTEGRAZIONE SOCIALE. Il progetto delle associazioni di obbligare le famiglie a prendere in casa i disabili senza pensare alle conseguenze economiche e sociali fu un errore enorme e la storia lo ha dimostrato negli anni seguenti. Come scritto in precedenza, passai 3 anni ingessato (81/83) a seguito dell’intervento chirurgico alla schiena eseguito al Rizzoli di Bologna, per poi tornare a Parma per la rieducazione ed è stato in questi momenti particolari che ho potuto avere vicino, anche se non spesso, una persona che mi ha dato la voglia di lasciare tutto per andare a vivere in famiglia a Torino. Questa persona è semplicemente mio fratello (di sangue) che si chiama Ettore che mi è stato il più vicino possibile nei momenti (brevi ma intensi) difficili da passare essendo ingessato. Ebbene, non avevo mai veramente vissuto quotidianamente con i miei familiari, se non recandomi in famiglia una volta all’anno e per un mese solo a partire da un anno di età fino a18 anni quando il Centro chiudeva per «ferie», quindi ero pienamente cosciente che partendo mi avventuravo in qualche cosa di sconosciuto ai miei occhi e orecchie. Ricordo perfettamente il giorno che chiamai al telefono mia madre per annunciarle che avevo deciso di andare a vivere definitivamente a Torino in famiglia per stare un po’ di più con fratelli e sorelle e la sua reazione fu: «ah bon? d’accordo… ». Nonostante la sua reazione ero comunque deciso a partire e niente poteva fermarmi, a meno che… Ma fortunatamente il destino fece il suo corso. Nel corso degli anni spesso mi sono chiesto: chi sarei e cosa farei oggi a Parma se non avessi lasciato tutto? Sicuramente non ho la risposta in quanto resterà un mistero ed è il bello della vita di non sapere sempre le cose. Certo che i ricordi li porterò sempre con me, soffrendo in silenzio, ed ho imparato che una volta partito da un luogo non dovevo più tornare indietro e quelli che mi conoscono possono confermarlo. Infatti non sono una persona che riesce a vivere nella nostalgia in quanto, per aver vissuto la mia infanzia in un modo diverso dall’ordinario (e non penso di essere stato il solo in quegli anni), ho imparato a dovermi impedire di soffrire moralmente (un vero iceberg) e non essere troppo sentimentale creandomi un «muro» insormontabile che mi ha accompagnato lungo la mia esistenza; evidentemente questo atteggiamento ha creato in me dei problemi nel seguito e, purtroppo, facendo soffrire chi mi è stato accanto. Per concludere questa parte con la Polisportiva non posso che felicitarmi con tutti voi che, malgrado le difficoltà, avete potuto con coraggio, convinzione e forza di carattere continuare il cammino sportivo; senza dimenticare, dalla mia parte, un ricordo speciale a tutti quelli che mi hanno dato la loro amicizia, fiducia e forza d’agire in quei momenti INDIMENTICABILI. Non pensate che tutto sia stato rose e fiori della mia vita passata nel Centro, assolutamente no, in quanto siamo passati dalle grandi amicizie ai grandi litigi, incomprensioni, passando per delle gelosie che oggi consideriamo stupide ma che erano inevitabili in quel momento. Come è inutile parlarvi del mio «brutto» o «bello» carattere, secondo i punti di vista, facendomi rispettare e rispettando comunque gli altri. Tutto ciò si chiama semplicemente: VITA PER IMPARARE A VIVERE… Spero che un semplice GRAZIE ai Fratelli Antonio e Felice possa esservi sufficiente anche se vi debbo molto di più, credetemi …

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