Il Diario del Lupo

Quarta puntata

Come è nata l’idea della Polisportiva Don Gnocchi di Parma

Nel Centro le attività sportive erano diverse, ma gira e rigira eravamo sempre gli stessi. Non dico che ci annoiavamo, al contrario, diciamo che la monotonia si era bene istallata senza rendercene conto. Un giorno al Don Gnocchi arrivarono 2 giovani : Nicola Perrotta e Pasquale Ticca, dal Don Orione di ROMA (1983). I due ragazzi giocavano bene al tennis tavolo; ci parlarono delle competizioni sportive per disabili che praticavano a Roma, soprattutto contro il Santa Lucia nel basket, tennis tavolo, atletica. Inutile raccontarvi che per me è stato un colpo di fulmine, una gioia immensa sapere che avremmo potuto confrontarci sportivamente con altre persone. Un’idea geniale da non perdere. 

Convinto che la possibilità di confrontarci sportivamente con altri disabili era un’idea maiuscola, appoggiato dai compagni, proposi alla Direzione la creazione d’una Associazione Sportiva nel Centro, assicurando che me ne sarei occupato personalmente con l’aiuto degli altri ragazzi.  L’argomento principale per cercare di convincerli è stato il fatto che giocavamo sempre e solo tra di noi e che questa era la buona occasione sportiva di una nuova apertura e di nuovi impegni gratificanti uniti allo studio. Sul momento ebbi paura che non volessero lanciarsi sul progetto innovativo. Mi ascoltarono e si presero qualche giorno di riflessione prima di darmi una risposta definitiva. Penso che la Direzione abbia voluto assumere maggiori informazioni sullo sport disabili. Provate a immaginare che dei giovani come noi (16/20 anni) volevano semplicemente scoprire qualcosa di diverso al di fuori del Don Gnocchi, lontano dalla città, attraverso lo sport: spiegabile la prudenza della Direzione di fronte al nostro entusiasmo adolescenziale. Sapevo che bisognava tentare il tutto, in quanto la nostra motivazione era forte, quindi dovevamo batterci per convincere i responsabili del Centro. La risposta della Direzione non ha tardato. Volevano saperne un po’ di più sulle nostre intenzioni. Chiesi di darci giorno per mettere insieme i pezzi del puzzle e poi fare delle proposte concrete.

Quinta puntata

La scelta dei primi dirigenti

Sapevo che la mia candidatura alla presidenza della nascente Polisportiva non sarebbe stata accettata. Nonostante la giovane età e l’inesperienza volevamo assolutamente riuscire a realizzare qualcosa che ci attirava e ci sembrava molto bella (volere è potere, direbbe qualcuno). Ne avevamo parlato insieme a lungo. Sin dalla giovane età volevo fare le cose a modo mio, sapendo dove volevo arrivare. L’esperienza personale sulla gestione della sala giochi e l’organizzazione dei primi tornei interni (scacchi, dama, calcetto, tennis tavolo) mi hanno dato esperienza, scoprendo di avere delle capacità nella realizzazione. Dopo qualche giorno di discussioni, pensieri e ipotesi ebbi un’idea. Mi sono detto: «Non vorranno me come responsabile principale? D’accordo, vado là dove la maggioranza dei giovani disabili passa il tempo libero, chiedendo ad una persona ben conosciuta di accettare la Presidenza della Polisportiva, assicurandogli che farò tutto il lavoro al suo posto e quindi gli resterà solo l’incombenza di essere presente nei momenti più importanti ». Questa persona è il gestore del bar di strada Repubblica, angolo piazzale S. Sepolcro, non lontano dal Centro, un uomo molto cordiale, comprensivo, sportivo, con i suoi baffetti simpatici: Ernesto Rosi, meglio noto come Titti. Era consuetudine per la più parte dei giovani disabili ritrovarsi quasi tutti i giorni, dopo il dovere scolastico, al bar di Titti per fare altre conoscenze, soprattutto  con coetanei fuori dal Centro. Come poter dimenticare un certo «PUPO» (non omonimo del cantante, ma di grande somiglianza) che aveva le ragazzine ai suoi piedi suscitando l’invidia dei maschi? (Prego, sorridete). Per tornare a Titti, inutile dire che, dopo avergli proposto la presidenza della Polisportiva, l’abbiamo messo in serio imbarazzo per la novità della proposta e per l’impegno che si sarebbe aggiunto al lavoro quotidiano e ai carichi familiari. Come fare allora per convincerlo? Tutto poteva essere perso con un semplice NO? Sinceramente, non avendo altra scelta, ho insistito su due punti: 1) il fatto che era conosciuto e che tutti avevano fiducia in lui; 2) sul fatto di fidarsi della mia persona e che avrei fatto di tutto per non mettere in difficoltà la sua persona e il suo bar e che poteva guadagnarci in stima e riconoscenza personale, facendogli capire che era la mia unica possibilità. A raccontarlo così sembra semplice, ma sappiate che per me sono stati momenti difficili e perciò memorabili. Non so perché e non so come, alla fine ha accettato la candidatura della presidenza, pur non essendo molto convinto della riuscita. Vi assicuro che neanche io ero certo della riuscita della Polisportiva, ma il fatto di crederci e più forte di qualsiasi altra cosa. Ho passato molto più tempo a spiegare agli altri di darmi fiducia nel progetto che averla io stesso questa fiducia in me. Penso veramente che questa forza di convinzione verso gli altri sia stato il segreto della nostra riuscita.

Dopo questa fase sono ripartito a incontrare la Direzione e spiegare più in dettaglio il progetto: ho avuto carta bianca. A ripensarci oggi e scrivendolo mi dico: che coraggio hanno avuto a fidarsi di un gruppo di giovani incoscienti ma con la giusta motivazione! Non ho mai dimenticato questo atto di fiducia verso di me e gli altri e serbo un’immensa stima e gratitudine per quelle persone.